Probabilmente chiunque abbia fatto una visita medica specialistica per problemi dell’apparato digerente, o per infiammazioni varie, sa cosa intendo con “dubbi alimentari”.
In realtà la maggior parte dei pazienti inviatimi da medici specialisti sono persone “disorientate” dal punto di vista alimentare e dubbiose quando si presentano alla prima visita.
Allergologi, dermatologi, gastroenterologi, diabetologi, endocrinologi, ecc si trovano spesso a redigere il referto di un’intolleranza, di un’allergia o di una qualsiasi altra patologia anche non strettamente legata all’alimentazione dove si legge un lunghissimo elenco di alimenti da evitare. Altre volte ancora viene indicata un’intera classe di alimenti da evitare (ad es. evitare le crucifere, le solanacee, ecc) o una classe di nutrienti o elementi (carboidrati, FODMAP, nichel, lectine, saponine, ecc) generando nel paziente appunto dei dubbi alimentari.
Quindi quali sono questi dubbi alimentari?
Il dubbio avanti al quale ci si può trovare è di due tipi: per eccesso o per difetto di attenzione. Nel primo caso, per paura o convinzione errata, si corre il rischio di eliminare alcuni alimenti che crediamo inadatti alla propria condizione ma che in realtà aiuterebbero a variare la dieta. Esempi frequenti sono i molti intolleranti al lattosio che evitano lo yogurt o i molti celiaci che evitano tutti i cereali.
Probabilmente però il rischio maggiore è quello opposto; continuare a mangiare alimenti contenenti alti livelli di molecole dannose in una patologia credendo che siano presenti solo in altri cibi. Ad esempio mele e legumi sono generalmente considerati salutari e privi di sostanze dannose; questa cosa è vera per la maggior parte delle condizioni cliniche ma non per tutte.
Molte volte questi pazienti sono adolescenti accompagnati da mamme nel panico che mi rivolgono sempre la stessa domanda:
“Dr.ssa mio figlio non può mangiare pomodori, melanzane, glutine, legumi, carne rossa, pesce, ecc ecc… cosa può mangiare?”
In effetti nella frenesia quotidiana variamo la nostra alimentazione meno di quanto ci possa sembra e spesso mangiamo senza cognizione di causa. La domanda della mamma è quindi lecita e non così scontata.
Ecco che interviene il biologo nutrizionista!
Dopo un’attenta anamnesi (anche in presenza di una diagnosi medica) sarà valutata la composizione corporea così da capire se occorre regolare l’apporto calorico. Sarà poi redatto un piano alimentare personalizzato e che tenga conto della patologia del paziente.
Il nutrizionista conosce infatti la composizione ed il contenuto di tutti gli alimenti, ma soprattutto sa come combinarli fra loro ed in che quantità. Con un piano alimentare personalizzato, il paziente avrà tutti i nutrienti necessari per condurre uno stile di vita sano ma senza lo stress della scelta degli alimenti.
Benché non sia il suo lavoro, il nutrizionista sarà anche felice di suggerire nuove ricette che facciano sembrare deliziose le nuove combinazioni di cibi. Un nutrizionista che ama il suo lavoro non si concentrerà infatti solo sull’aspetto professionale ma cercherà anche di creare empatia col paziente.
In questo articolo ho volutamente evitato i casi in cui il nutrizionista gioca un ruolo primario. Proprio i casi in cui l’elaborazione di un particolare piano alimentare può evitare l’assunzione di numerosi farmaci o influire sull’andamento della patologia (prevenire, migliorare o curare).